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La faina del parco

Tra i mammiferi selvatici italiani, la faina è insieme alla volpe quello che ha acquisito la maggiore consuetudine con l'uomo. Sembra anzi che sia giunta in Europa dal Medio Oriente proprio al seguito dell'uomo, al quale fin da tempi immemorabili ha sempre depredato pollai e conigliere. Intelligente, curiosa, di abitudini più che altro notturne, la faina è molto simile alla martora, anch'essa marrone, dalla quale si può distinguere per la macchia sotto la gola, che è bianca e divisa al centro, mentre è giallastra e unica nell'altro mustelide. La faina vive in genere ai margini dei boschi, nei burroni, nelle cave, spesso anche nei campi e nei vigneti o addirittura nei parchi cittadini, dalla pianura fino alla media montagna. Dalla sua tana ricavata in un albero cavo, in un anfratto roccioso o nella buca scavata da qualche altro animale esce al crepuscolo per cercare il cibo, percorrendo fino a 8-10 chilometri per notte. Al contrario di quasi tutti gli altri Carnivori, le piccole faine non imparano dalla madre quale cibi devono o possono mangiare. Assaggiano un pò di tutto, e imparano per tentativi ed errori. La dieta è comunque molto ampia. La faina è cacciatrice, e si arrampica sugli alberi per catturare scoiattoli o nidiate di uccelli, oppure rincorre a terra topi e altri piccoli roditori. Non disdegna però anche uova - di cui è ghiottissima - rettili, grossi insetti e frutti. In genere le prede non sono consumate sul posto, ma vengono portate alla tana, dove la faina costituisce vere e proprie "dispense". A parte l'uomo, che ha sempre cacciato la faina per la sua pelliccia, i nemici naturali di questo mustelide sono rapaci come la poiana, l'astore e il gufo, mentre i piccoli sono esposti agli assalti anche di volpi e gatti selvatici. A dispetto di tutto però la faina in Italia come negli altri paesi europei non corre alcun pericolo, e si è anzi moltiplicata colonizzando con successo anche le periferie urbane.

Il ghiro del parco

E' facile, nelle notti d'estate, udire il sottile fischio del ghiro nei boschi di querce e nei frutteti. La ricerca di frutti, ghiande, noci e semi di ogni genere è l'occupazione principale di questo roditore lungo al massimo una ventina di centimetri, dal pelo grigio marrone lievemente argentato e dalla lunga coda. Tatto e udito sono i sensi che il ghiro utilizza di più per muoversi nell'oscurità. Due paia di vibrisse lunghe fino a sei centimetri e sei cuscinetti di peli tattili, quattro sul muso e due sugli avambracci, informano l'animale sulla natura degli oggetti che ha di fronte. I movimenti alternati delle orecchie, rapidissimi, gli permettono di individuare con precisione l'origine dei più piccoli fruscii. Anche gli occhi, grandi e rivolti in avanti, sono adattati alla visione crepuscolare. Abilissimo grazie alle sue unghie aguzze nell'arrampicarsi fin sui rami più sottili degli alberi e nel compiere balzi anche di un metro, il ghiro fa il suo nido nelle cavità dei tronchi più grandi, possibilmente dall'ingresso molto stretto per tenere alla larga i predatori. Una civetta, una faina o una volpe potrebbero facilmente divorargli la nidiata. In questa cavità nascono i piccoli che la madre allatta e non abbandona quasi mai per circa tre settimane, fino a quando non sono in grado di arrampicarsi e di seguire il padre. Verso la fine dell'estate, i ghiri cominciano ad accumulare riserve di semi. Poi, tra la fine di settembre e i primi di ottobre, i ghiri abbandonano il nido per rifugi più sicuri, molto spesso camere sotterranee anche a un metro di profondità, dove trascorreranno - stretti l'uno con l'altro, sdraiati e con la coda ripiegata sull'addome e il capo - lunghi mesi di letargo. Si risveglieranno solo a maggio, molto dimagriti, ma con l'aiuto dei semi conservati dall'anno precedente saranno pronti a ridare inizio al ciclo della vita.