può dunque essere inteso anche come
risposta a una esigenza di "sublime" che nasce dal rifiuto del
disordine, della volgarità e della banalità del quotidiano e insieme
come sintomo di una volontà di recupero della dimensione "auratica"
della poesia.
Con questa scelta elitaria, che implica una inevitabile fortissima
riduzione del già ridottissimo pubblico della poesia (ma insieme la
possibilità di una comunicazione poetica a livello internazionale),
Mazza supera la sua crisi, nel modo a lui più congeniale, ritrovando
sicurezza ed equilibrio nell'uso di uno strumento espressivo che rende
pronunciabili anche significati ormai compromessi e non più dicibili
nella lingua "normale".
E' azzardato interpretare tale scelta come operazione in qualche modo
analoga a quella dei poeti che, soprattutto negli ultimi decenni, con
sempre maggiore consapevolezza si sono accostati ai dialetti,
privilegiando proprio i più periferici e isolati, i più remoti
dall'italiano, i meno idonei a soddisfare esigenze 'comunicative',
quelli insomma assimilabili a "lingue morte", ormai prive di
parlanti?(7)
E' la persuasiva ipotesi avanzata esplicitamente da Fernando Bandini, in
una nota di presentazione di sue poesie in dialetto e in latino:
<Considero i poeti in dialetto poeti di lingua morta, alla stessa
stregua di chi componga versi |
in latino.
La differenza è soltanto nel più sottile diaframma che ci separa dal
mondo di sentimenti e di cose una volta espresso dal dialetto. Quel
mondo dorme nel fondo della nostra coscienza, rivisitarlo significa
trovarsi coinvolti in qualcosa che avevamo dimenticato ma che pure ci
era appartenuto. Diversa la qualità "subliminare" del latino: è una
lingua metastorica e il ricorso ad essa dà quasi un senso di sicurezza,
come approdare ad una sacralità pacata, non intaccabile dagli eventi. E'
stata anche, per la mia generazione, la lingua religiosa della
fanciullezza.(8)>
E quando si parla (Brevini) del dialetto come "lingua della durata", la
cui scelta nascerebbc dalla "rivendicazione di un idioma sottratto alla
rapidità di invecchiamento dei materiali linguistici nella società
contemporanea"(9), chi non vede come tale discorso sia altrettanto
legittimo se riferito al latino?
Non è un caso, d'altronde, che questa equazione latino/dialetto sia
presente nelle riflessioni di vari poeti. Sandro Zanotto, per esempio
sostiene che il dialetto deve essere trattato oggi nella sua verità di
lingua morta, come fu per secoli il latino.(10)
Lo stesso Bandini afferma altrove che nei poeti dialettali degli anni
Sessanta vi è "la certezza di affidarsi non tanto a parlate vive e
pulsanti, da contrapporre all'artificiosità |