Ha ancora un senso scrivere poesie in
latino? E da quali ragioni un poeta contemporaneo può essere indotto a
scegliere come strumento espressivo, a volte addirittura privilegiato,
come una "lingua morta"?
Queste domande sono legittimate dal perdurare della pratica del poetare
in latino, che ha avuto in Italia una lunga tradizione, ma non è affatto
scomparsa neppure oggi. E si badi che non si tratta solo di attardate
esercitazioni classicistiche, come dimostra il fatto che tra gli autori
contemporanei di "carmi" in latino troviamo poeti veri, di sottile e
inquieta modernità (basti citare, per tutti, il nome di Fernando
Bandini, poeta in lingua, in latino e in dialetto).
Tali domande certo ripropone la pubblicazione di queste Poesi latine
e Italiane, edite e inedite, di Giovanni Mazza, e forse un riesame
della sua vicenda potrà essere d'aiuto a chi volesse tentare qualche
risposta.
Il "caso" Giovanni Mazza (1877-1943) è tutto |
racchiuso in queste date:
1902: Prime;
1911-1915: dieci sonetti (inediti);
1927-1943: poesie in latino.
Dopo il precoce esordio in lingua, a venticinque anni, con Prime rime,
ci sono dunque - con la sola eccezione dei dieci sonetti inediti che
pubblichiamo in fondo a questo volume - venticinque anni di inspiegabile
silenzio, interrotto solo nel 1927 (a cinquant'anni) quando Mazza
riprende a comporre e pubblicare versi ma, appunto, solo in latino; e
questa produzione durerà poi ininterrotta, per circa un quindicennio,
fino alla morte.
(E' doveroso, tuttavia, avvertire che questa nostra schematica
ricostruzione si fonda solo sulle carte esistenti, certamente molto
lacunose; occorre tener presente, infatti, che lunghi periodi non sono
in alcun modo documentati e che delle prime prove latine non è pervenuta
alcuna redazione manoscritta, così che allo stato attuale |