Si ringrazia Raffaele Capano, Franco Formicola, la Pro Loco e quanti hanno collaborato. Archivio permanente Torreomnia.
(Fonte web Vesuvio Live)

Di Raffaele Capano (del 10/01/2008 @ 11:19:00, in Rievocazione storica del Riscatto Baronale, linkato 860 volte)

A seguito di ricerche effettuate presso la Pro loco di Torre del Greco, Vesuvio Live è venuto in possesso del filmato della Rievocazione Storica del Riscatto Baronale, rappresentata durante la Festa dei 4 altari del 1979.
Ci è sembrato interessante metterlo a disposizione dei visitatori del sito.
Ringraziamo la Pro loco per la gentile concessione.

                     

Di Raffaele Capano (del 16/10/2007 @ 16:43:25, in Rievocazione storica del Riscatto Baronale,
Rievocazione storica in costume del Riscatto Baronale del 1699

Introduzione

Di Raffaele Capano (del 16/10/2007 @ 16:41:49, in Rievocazione storica del Riscatto Baronale,

Riordinando le carte lasciate da Gennaro e custodite gelosamente dalla moglie Uta, abbiamo trovato il canovaccio di una rappresentazione scenica del 1979. Un testo che fu rappresentato, durante la Festa dei Quattro Altari, ma non su un palcoscenico, bensì tra la gente, nelle vie e nei vicoli più antichi del centro storico.

Gennaro, forte della sua esperienza teatrale volle cimentarsi in un lavoro apparentemente “diverso” dal solito. Infatti scrisse lui stesso il testo che faceva rivivere il Riscatto Baronale del popolo torrese del 1699.
Ad un primo approccio può forse sembrare un lavoro di scarso interesse,. tuttavia, rileggendolo attentamente, anche da questo breve lavoro emerge tutto l’impegno teatrale, sociale e politico, che Gennaro era solito infondere nei suoi lavori.
Ad esempio l’incontro tra la Duchessa Medina Sidonia e la Contessa di Berlips, anche se storicamente mai avvenuto, tuttavia dà la possibilità a Gennaro di mettere a confronto due mentalità, due modi di gestire il potere politico ed economico. Quello dei Carafa (al quale va la sua simpatia) improntato sul rispetto del popolo e quello della Contessa, arrogante e avida, basato sul sopruso e lo sfruttamento (“…a me basta il feudo; la gente che lo abita se ha bisogno di aiuto… dovrà rivolgersi alla Provvidenza della Chiesa!”).
Nel testo, inoltre, si legge un esplicito invito al popolo a scuotersi di dosso quel potere che “passanno da nu Signore a n’nauto” mantiene la città in uno stato di degrado.
Non dimentichiamo che quando Gennaro sono trascorsi appena sei anni dall’epidemia di colera, che ha messo completamente in ginocchio l’economia locale. È chiaro quindi il riferimento alla situazione in cui versava Torre del Greco.
Egli sembra, inoltre voler sottolineare che, come per riscattarsi dal barone non è stato necessario ricorrere alla violenza, ma è bastato servirsi astutamente della legalità, anche per liberarsi dal malgoverno è possibile utilizzare mezzi legali e non violenti.
“Noi non abbiamo bisogno di far scorrere nemmeno una goccia di sangue. Visto che per lasciare o prendere questo nostro paese si è soliti usare la forza del denaro, noi dobbiamo trovare il modo di utilizzare questa stessa arma. È il primo passo per la conquista del potere”.
Nella quarta scena esplode tutto il suo amore per il popolo e l’importanza di essere tutti uniti per far sì che insieme si divenga una vera forza.
Il tentativo del Marchese di “convincere” individualmente la gente a rinunciare al Riscatto, all’inizio sembra riuscire. “Al principio era facile. Scendevano a uno a vota. Ma mò è na folla. Tra poco staranno tutto quanta cà”.
Il finale di questa scena poi è un’autentica apoteosi: “Tremma Marchese, ca si stammo tutti uniti a fà chi st’ultimi sacrifici cia pigliammo sta città”. infatti in questa frase finale è racchiuso tutto il pensiero politico e sociale che animava l’attività artistica di Gennaro.
Della penultima scena non ho reperito alcun testo in quanto si tratta di una rappresentazione scenografica, priva di dialoghi, realizzata al Porto, dove giungono le navi torresi provenienti dalla Spagna (altro episodio non storico, ma di indubbia efficacia scenografica) tra l’esultazione di gioia del popolo, che le accoglie con grandi festeggiamenti e fuochi d’artificio.
L’ultima scena al Palazzo Baronale, vede il popolo torrese che esulta alla lettura del Decreto d’Annessione al Regio Demanio.
C’è sembrato utile ricostruire questo lavoro di Gennaro Vitiello, sia per l’attualità del messaggio che contiene, sia per sottolineare l’importanza storica, oltre che religiosa, di una festa che oggi sembra aver smarrito ogni significato.

Scena prima

Di Gennaro Vitiello (del 04/07/1979 @ 16:29:19, in Rievocazione storica del Riscatto Baronale, linkato 744 volte)

Palazzo nobiliare del ’600.
Saloncino privato di Marianna Duchessa di Medina Sidonia.
(Scrittoio con sedia, divano, cassapanca o camino. L’ambiente è illuminato da pochi e pesanti candelabri; sulla parete un arazzo od un enorme dipinto). ANNO 1696.
PERSONAGGI: Fabrizio Sansone, notaio; la Duchessa Medina Sidonia; la Contessa Maria Geltrude di Berlips.
DON FABRIZIO: Il sette marzo avete definitivamente ereditato la Castellanìa e la Capitanìa di Torre del Greco e Comarca. Poi, sapete come il Re si è venuto a trovare debitore verso la Contessa di Berlips della somma di 10.800 ducati annui; così S.M. deve cedere alla Contessa feudi e territori di pertinenza del Regio Demanio per sanare tale debito.
So perfettamente che per Voi è un momento difficile, siete Voi a doverLe parlare! Rimanete, è necessario che l’aspettiate qui, in casa vostra.
MEDINA SID: Ma io… dovrei cedere il destino di questi luoghi ad una straniera, ad una donna che di questa gente e di questa terra ignora tutto!!?!!
DON FABRIZIO: Si! Purtroppo, si! Posso capire perché Vi riesce difficile: Voi temete il giudizio del popolo torrese e… non Vi aggrada vedere la Contessa apparirvi innanzi.
MEDINA SID: No, don Fabrizio! Un giudizio, sia pur duro, da parte della mia gente potrei anche sopportarlo, ma incontrare Lei… Sono forte per farlo?
(Con fare sconsolato e rassegnato) Eppure debbo; nel punto in cui sono non c’è proprio scampo!
E Voi, don Fabrizio, siate qui vicino a me, come un angelo inviato dal cielo!… Ma,… perché non parlate Voi?
Non posso farcela a sopportare la sua vista!
Risparmiatemi, don Fabrizio, vi prego, risparmiatemi questo colloquio!
DON FABRIZIO: Fatevi coraggio, Duchessa! L’ora è decisiva; lo vuole Sua Maestà, che Dio guardi. Purtroppo Voi dovete cedere la Capitanìa di Torre e Comarca alla Contessa di Berlips… (pausa) e per la firma è necessario che voi due v’incontriate.
MEDINA SID: Lo so… forse da molto tempo! È vero! Ho impresso con cura nella mia memoria ciò che devo dire. Ed ora mi pare di non poter profferire parola; il cuore mi si rivolta in un impeto di odio e di ribellione. Non me la sento di cedere la Torre del Greco e li suoi Casali ad una che certamente in questo paese si comporterà da forestiera e che forse non verrà mai ad abitare in un paese marinaro, lei, la Contessa abituata alla Corte madrilena!!
DON FABRIZIO: (Per calmare la Duchessa tanto agitata).
Calmate, Duchessa, il vostro sangue agitato, cacciate via l’amarezza! Vi sembrerà, il mio, Duchessa, un consiglio troppo duro, ma dovete obbedire alle leggi reali che vogliono la Contessa ora più forte di…
MEDINA SID.: Basta, vi prego, basta! Non posso…
DON FABRIZIO: (Interrompendola) Dovete farlo! Parlatele con calma; parlatele di questo popolo, di questa terra. Fate appello alla sua origine nobile; non parlateLe di diritti, non è il caso, né il momento.
MEDINA SID: Forse noi stessi Carafa ci siamo procurati la nostra sventura, ma, ohimè, mi si poteva almeno evitare questo incontro!!!… Soffro troppo!
DON FABRIZIO: Dovrete sopportarne la presenza per poco. Le lettere che Le avete inviate certamente l’avranno disposta a ben comportarsi.
MEDINA SID: (Poggiando una mano al braccio di don Fabrizio).
Don Fabrizio, lo so che mi siete amico, che i vostri consigli mirano al meglio! È che mi hanno trattata con durezza, persino il Re.
DON FABRIZIO: Dimenticate! Ora pensate solo a riceverla; con gentile diplomazia ed umile rispetto; Vi conviene, anche per ciò che la Contessa potrebbe narrare al Re.
MEDINA SID: Fatela entrare! (Maria Geltrude, Contessa di Berlips entra e con fare imperioso si fa avanti).
MEDINA SID: DIOS MIOS! Fammi forte!…
(Dopo una pausa in cui si nota lo sforzo della Duchessa a vincere la rabbia).
Geltrude, il Re t’ha voluta favorire e sei felicemente vittoriosa. Inoltre, Geltrude, grazie per aver affrontato questo viaggio dalla Spagna fino a Napoli.
BERLIPS: Vi sbagliate, Duchessa; sono in Italia già da alcuni giorni, altrimenti è a voi che sarebbe toccato un viaggio in Castiglia. (Sorride con durezza).
MEDINA SID: (Fatica a continuare il colloquio).
Geltrude, non restatevene lì ironica e dura.: non mi costringete a sforzi per raggiungervi. Vi cedo ciò che forse mai prima d’ora avevo capito di amare tanto, quel che possedevo per eredità di sangue. So che il destino di questo paese che amo dipenderà forse dall’eloquenza che saprò dare alle mie parole. Mettetemi in condizione di parlarvi ed è giusto che insieme alla mia firma, che Vi permetterà il possesso di queste terre, io possa offrirVi quei consigli che Vi permetteranno di capire i bisogni di queste popolazioni che necessiteranno del Vostro aiuto.
BERLIPS: Cosa avreste da consigliarmi, Voi, la Duchessa di Medina Sidonia che non ama toccare il denaro? Il Vostro orgoglio di Carafa vi ha fatto perdere questi possedimenti! Se ho bisogno di consigli so a chi rivolgermi!
E poi a me basta il Feudo; la gente che lo abita se ha bisogno di aiuto non è a me che dovrà rivolgersi, ma alla Provvidenza della Chiesa!
Questo possedimento mi appartiene per diritto di conferma e non di sangue. Vi prego ora don Fabrizio, firmiamo l’atto di vendita. (Don Fabrizio, dopo la lettura del documento, fa firmare le due donne, indi esce con la Contessa).
MEDINA SID: La Università di Torre del Greco e Comarca è profanata da una ignobile Dama di Compagnia della Corte di Spagna. Il laborioso popolo torrese sarà ingannato da un’arrivista senza scrupoli. Maria Geltrude, i Torresi però non ti sopporteranno a lungo! Questa terra ti scotterà sotto i piedi!

 

Scena seconda

Di Gennaro Vitiello (del 03/07/1979 @ 16:33:34, in Rievocazione storica del Riscatto Baronale, linkato 13671 volte)

Incontro su una loggia d’un antico palazzo Barocco di alcuni rappresentanti del popolo torrese e resinese con l’avvocato Geronimo Villano e don Marzio Cirillo. 7 aprile 1696.
RESINESE: Faciteme arrepusare. Arrivo stanco a st’appuntamento. Vengo a piedi da Resina e le cosce me fanno male. Beh, ma ce bevimm nu bicchiere e vino?
I° TORRESE: ’O vino, Mastro Pietro lu tene chiuso a chiave, dinto alla cantina.
2° TORRESE: (Chiamando il figlio che sta giocando sul terrazzo).
Lucariè va a piglià nu fiasche e vino. Tiene, ca ce stanno le chiavi de la cantina.
(Lucariello scende di corsa le scale).
RESINESE: Guardate là, comme sò belle le bbarche a mare! Partono per la Sardegna.
2° TORRESE: Ne pescarranno de curallo!
RESINESE: Tu pienze ca ’a li marenare lu sudore lloro le venarriè pavato? E si iessero ancontro a la tempesta?
1° TORRESE: Tutto po’ succerere.
2° TORRESE: Si nuj, nun ce sciuglimmo a sotto ’a lu padrone, servimmo solo ’a faticà comme la furmica, j’accumulà tesore alla Duchessa.
LUCARIELLO: Papà ’o vino!
2° TORRESE: Puosalo là, ’ncoppa a lu muro, Lucariè. E mò vattenne, va ’a pazzià ’a nata parte.
1° TORRESE: Sì, tu tiene ragione! Nuje summigliammo ’a la furmica che sape pensà a lu vierno; nuje tenimme la cura e la pacienza de l’ape che fà lu mèle. Quanno invece avessimo sulamente chiagnere a pensà che la Capitanìa de la Torre passanno da nu Signore a n’nauto, ce và a mannà a lu diavolo anne de periculi cuntra a li pirati e de fatica.
Comme se nun ce bastassero li guai che ce sò venuti dalla Muntagna e da la Peste.
RESINESE: Nuje e de necessità noste che simmo venuti a parlà.
E don Geronimo Villano e don Marzio Cirillo quanno venono?
2° TORRESE: Mo lì vedrai venì.
RESINESE: Nuje avimmo chiesto l’aiuto de li avvucati, de la legge, quanno pe ce liberà de li Utili Padroni nce dovessimo abbrucià li case. A me nun me va de stregnere la cinta pe la legge. Nce sta lu rischio de addevennà lumache quanno avessimo essere comme a l’aquila. Vuje state cierto che sti duje avvucati nun stanno d’accordo cu li Padruni o ca nun sa venneranno a li capricci lloro?
1° TORRESE: No, può sta tranquillo: don Geronimo Villano e don Marzio Cirillo stanno da la parte nosta. Pure si nun tenano ’a stessa rraggia toja, so propense a truvà na forma pe trattà.
(Entrano il Villano e Cirillo).
VILLANO: Scusateci se veniamo così tardi. Ma, venendo, abbiamo avuto l’impressione d’essere spiati e ci siamo fermati in una cantina, finché non ci è sembrata libera la strada.
Ora siamo qui a portarvi una notizia personale e importante. Una notizia che voi dovete diffondere fra tutta la popolazione della Torre.
La Capitanìa di Torre e Comarca sarà venduta ad un’altra persona, e questo vuol dire un grosso passo avanti per la nostra vittoria, perché se ci sarà alienazione, cioè se gli Utili Padroni non riusciranno a pagare il debito che hanno, noi popolo torrese ci potremo avvalere del diritto di prelazione e verremo in possesso della nostra terra.

 

Scena terza

Di Gennaro Vitiello (del 02/07/1979 @ 16:35:15, in Rievocazione storica del Riscatto Baronale, linkato 777 volte)

Sagrato Chiesa S. Maria di Costantinopoli.
Incontro di Tommaso Mazza e altri torresi con don Marzio Cirillo.
Inizi ottobre 1698.
TOMMASO: Voi, don Marzio! Erano mesi che non vi si vedeva da queste parti. Che cosa vi ha spinto fin qui?
DON MARZIO: Il bisogno di parlare con te, Tommaso, e anche con gli altri.
TOMMASO: Il piacere che provo nel vedervi mi si apre il cuore. E a casa vostra stanno tutti bene? La vostra cara moglie e gli assennati figli?
DON MARZIO: Bene, grazie Tommaso.
TORRESE: Ognuno di noi, che è stato a casa vostra, loda l’ospitalità e l’attenzione dei vostri familiari, don Marzio. E tutti noi sappiamo bene con che cura ci sapete rappresentare.
TOMMASO: Ma parlate, don Marzio, che c’è?
DON MARZIO: Vengo proprio ora dal porto. Un marinaio m’ha dato questa lettera d’un amico madrileno che mi informa d’una grave notizia. La Contessa di Berlips, con un atto pubblico stipulato a Madrid il 7 settembre, ha venduto, senza diritto di ricompra, il feudo di Torre e Comarca per 106.000 ducati al Marchese di Monteforte Mario Loffredo.
TORRESE: Contro ò paese nuoste nun avevano mai fatto na cosa simile… mai era capitato che Torre ò Grieco se l’accattassero e se la vennessero comme si fosse na pezza e stoffa.
DON MARZIO: Avete ragione. Ma sapete a me qual è la cosa che più mi preoccupa? È a chi la Contessa di Berlips ha venduto il paese. Col Marchese Mario Loffredo quello che ci toccherà soffrire sarà intollerabile. E non vedo con faciltà come potremo porre fine all’oppressione.
Anche se non abbiamo avuto la grazia d’essere veramente liberi, almeno con i Carafa, anche con l’ultima, la Duchessa di Medina Sidonia, si aveva la fortuna di essere governati bene. A Torre non c’era mai capitato una disgrazia simile, da quando il primo pescatore pescò il primo pezzo di corallo.
TORRESE: Dò Marzio, si sa, ogni torrese l’ha sentito dire che ò Marchese di Monteforte è un tiranno. Ognuno ’e nuje lo sape che sotto à nu padrone comme lu marchese ce potriano succedere cose tremende, come succedono dinta a li terre de la Calabria e de la Puglia.
TOMMASO: Si, è vero, in Calabria e in Puglia capitano cose terribili, che vengono fatte pagare col sangue…
Un barone ha avuto voglia del frutto proibito: voleva disonorare con sfacciata violenza la moglie di un contadino. Il marito, un brav’uomo, quando l’ha saputo, gli ha spaccato la testa con una scure. Poi è scappato sull’Aspromonte per sfuggire alla legge. Si sarà nascosto in qualche grotta di quelle montagne.
DON MARZIO: Ora però è bene non avvilirsi, Da un’occasione così sfortunata, se sapremo meditare sul da farsi e sapremo di conseguenza agire, potremo trarne dei grossi vantaggi.
TOMMAS: Se sapremo agire, don Marzio? Io credo che questa sia l’occasione buona per agire. Il momento è favorevole. Ieri sono tornate le barche di corallo. I torresi sono tutti a terra. Non c’è un assente e l’assemblea sarà plenaria. Non vi preoccupate, don Marzio, mi impegnerò io a fargli capire quello che noi ora qui decideremo di fare. No, non vi preoccupate. Parlerò nella maniera più chiara possibile. Per poter agire, aspettano solo un comando, perché lo sanno che se non reagiscono a questo stato di cose potranno venire tempi molto duri.
Dopo i tanti sacrifici sopportati per il Vesuvio, non hanno nessuna minima voglia di affrontarne altri per i piaceri del Marchese di Monteforte.
TORRESE: Si, don Marzio, diteci quello che dobbiamo fare e noi ci muoveremo.
ALTRO TORRESE: Nuje, dò Marzio, sapimmo pure fà scorrere ò sangue.
DON MARZIO: No, calma. Noi non abbiamo bisogno di far scorrere nemmeno una goccia di sangue.
Visto che per lasciare o prendere questo nostro paese si è soliti usare la forza del denaro, noi dobbiamo trovare il modo di utilizzare questa stessa arma. È il primo passo per la conquista del potere.
Per prima cosa c’è necessario far parte del Demanio. Convincete tutti a pagare quei tre carlini per tomolo di farina invece di uno, che siamo abituati a pagare. Una volta d’accordo, fate firmare questo memoriale e inviatelo all’Autorità.
(Tutti escono a indire l’Assemblea di popolo).

 

Scena quarta

Di Gennaro Vitiello (del 01/07/1979 @ 16:35:57, in Rievocazione storica del Riscatto Baronale, linkato 746 volte)

Quartiere marinaro alle spalle di S. Maria di Costantinopoli.
PERSONAGGI. Marchese Loffredo, suo segretario, notaio Campanile, due sgherri.
I 5 personaggi avanzano nel borgo alla luce di torce e lanterne.
18 ottobre 1698 Notte.
SEGRETARIO: (Al Marchese di Monteforte). Eccellenza, a Voi vi pare giusto di farci trovare in questo posto?
MARCHESE: Geretiello, sto qua per fare due chiacchiere con te. Poi, appena la cosa si è avviata, me ne torno subito a Napoli. Sbagli non se ne possono commettere. Io devo stare tranquillo. Devo essere certo che il notaio Campanile mi è fedele.
SEGRETARIO: Signor Marchese, il notaio Campanile è persona fidata e non ve ne dovete preoccupare. Quando sono venuto io, lui stava già qua ad aspettarmi. Ora si è allontanato un momento per andare a chiamare i due sbirri. Io però, se mi permettete un parere, signor Marchese, quest’incontro con la gente del Borgo non l’avrei organizzato alle tre di notte.
MARCHESE: Geretiello, e perché mai?
SEGRETARIO: Vedete, signor Marchese, noi adesso, quando andiamo a bussare alle porte, può pure darsi che la gente fa finta di non sentire, non si affaccia e non scende. Certo, in piena notte, signor Marchese, uno se sente bussare si può pure mettere paura.
MARCHESE: Questo, Geretiello, è proprio questo che voglio io. Io, li voglio fà cacà sotto. Solo se si mettono veramente paura, Geretiello mio, la finiranno una volta per sempre di permettersi di organizzarsi contro il Marchese di Monteforte. E poi vedi che ti sbagli. Quando voi andrete a bussare, quelli, morti di paura, per sapere chi è si affacceranno. Stanne certo. Però ti devi fare avanti tu, sei tu che li hai da chiamare. Il notaio e i due fidati è bene che si mantengano appartati e nascosti. A te, Geretiello, la gente ti conoscono, si fidano e li puoi convincere a scendere. E quando sono scesi non ti preoccupare, una volta giù nel vicolo, il notaio e i due sbirri sanno quello che devono fare, come si devono comportare.
SEGRETARIO: Sissignore, Marchese, quello che voi avete detto è giusto; è ciò che io non avevo pensato. Comunque, scusate, però credo che voi in questo posto non potete rimanere.
MARCHESE: Me ne vado, anche perché sento i passi del notaio Campanile che sta venendo con i due sbirri. A te, però, mi raccomando…
NOTAIO: (S’avvicina al segretario in compagnia dei due sgherri).
Eccoci qua. Ora tocca a te. Noi ce ne staremo in disparte. Ci andiamo ad appartare di là, sotto quegli archi. Però mi raccomando non li chiamare tutti insieme. Falli venire da noi uno alla volta, sennò può pure essere pericoloso.
SEGRETARIO: Non dubitate. Agli ordini vostri.
(I tre scendono giù per il vicolo e si appostano sotto gli archi).
Tre e lloro, cu lu curtiello e me addimannano de li affrontà a uno a vota. Bello curaggio! Io so sulo e nun avess avè paura. A me ò curaggio chi me l’avesse dà (prende da sotto il mantello una bottiglia di liquore e se ne fa un bel sorso) sta butteglia?
(Poi, fattosi coraggio, s’avvicina alla prima porta e bussa).
Ohè! Tatò! Tatò! Tatonnoooo!
(Dopo un breve istante s’accende a una finestra una luce).
(Con voce soffiata) Tatò! Tatò io sò Giro, Giretiello de Mezzasignore!
ANTONIO: Giro, Giretiello e che vuò a chest’ora è notte?
SEGRETARIO: Scinno, scinn ’a bascio ca t’aggia dimannà na cosa importante.
ANTONIO: Aspetta. Mo metto ’o cazone e scengho!
SEGRETARIO: (Fischia ai compari e si nasconde dietro un portone. I tre avanzano al buio. Antonio apre la porta).
ANTONIO: Giritiello? Gir…?
I° SBIRRO: Siete voi Antonio Ascione?
ANTONIO: SI, sono io. Ma, scusate, Giro, l’amico che m’ha chiammato, addò stà?
2° SBIRRO: (Facendosi all’altro lato di Antonio). Sta là, s’è avviato, stà più avanti col notaio Campanile.
Venite, seguimoli, loro ci aspettano. (Di colpo il notaio appare di fronte ad Antonio).
NOTAIO: Antonio Ascione! Ma che è, voi tremate? E di chi avete paura?
ANTONIO: No, di nessuno. È che io, prima ho sentito la voce di un compagno mio, che mi voleva… e trovo voi…
NOTAIO: Ah la voce di Giro. Ah si Giro, si ha detto che doveva fare un bisogno, e s’è allontanato un momento. Ma a proposito del Marchese di Monteforte, voi mi permettete se vi faccio una domanda? Antonio Ascione, ma voi, di don Marzio Loffredo, che ne pensate?
ANTONIO: e chi mai… (Il notaio lo interrompe dandogli un colpetto sul viso).
NOTAIO: Tatò, eppure il Marchese, a voi Torresi, vi potrebbe aiutare. Per esempio lui certe tasse potrebbe pure evitare di farvele pagare. Che è, jate chiagnenne miseria e po’ vi concedete il lusso di pagare tre carlini per ogni tomolo di farina?
ANTONIO: I tre carlini io… io non li volevo accettare… ma
1° SBIRRO: (Tirando con noncuranza fuori il coltello). Devi sapere, Antò, che nò, che non è il Signor Marchese a sta contro alla povera gente, ma cierte persone che ve jencano a capa, cierte persone ca si nun sarrà oggi, ma sarrà dimane, venarranno ’a pruvà sta lama è curtiello.
ANTONIO: Vuje… ma vuje (I quattro lasciano solo Antonio, e si allontanano parlottando).
SEGRETARIO: (Ad un’altra porta. Bussa e poi chiama).
Tò? Salvatò, Tò…?
(Passa qualche istante e un uomo esce dal portone, seguito dalla moglie).
(Giro, vedendolo con la propria donna ha un attimo di smarrimento).
Salvatò, ti volevo addimannà na cosa!…
CARMELA: Sì, vamm sentuto. Là, avito chiammato a Tatonno, ccà a maritemo. Ma che è, vulito scetà a tutta a gente dò paese?
Che v’avita mise dinto è chiocche?
SEGRETARIO: Avita fatto buono Carmè, avito fatto buono a venì pure vuje. Io veramente, si v’aggio dicere a verità, sicuramente, quanto è certa a Maronne… (s’avvicinano gli sgherri col notaio) ecco nuje…
1° SBIRRO: (Giocherella infilzando il coltello nel legno della porta).
Sì Salvatò nuje, sì a nuje ci piaciarria e sapè tu e muglierete che ne pensate di don Mario Loffredo, del Marchese di Monteforte.
2° SBIRRO: Carmilì, vuje tenite già quatte piccirille e me parite sempe na guagliuncell… (Le avvicina la bocca a un orecchio e con tono insidioso) a i piccirill vuost ’o pane nun gli piace…? Pecchè vuje certamente e sord pe pavà a farina a tre carlini addò li pigliate pe la pavà?
CARMELA: Giuvinò, ma vuje che vulite dicere? Spiegatevi meglio… io non vi capisco.
SALVATORE: Carmè trasetenne dinto… sennò
2° SBIRRO: Totò ma a tè te piace e pazzià…
(Da un vicolo torna il segretario. Fischia il richiamo. Gli sbirri e il notaio gli vanno incontro).
SEGRETARIO: Dobbiamo squagliarcela. Al principio era facile. Scendevano a uno a vota. Ma mò è na folla. Tra poco staranno tutto quanta cà. Ja… Jammoncenne. (In un attimo scompaiono. I Torresi sono tutti fuori alle porte).
ANTONIO: (Gridando). Avete visto! Erano li sbirri dò Marchese. So lloro che s’hanno appaurato. Tremme Marchese, ca si stammo tutti uniti a fà chi st’ultimi sacrifici cia pigliammo sta città.

Gennaro Vitiello
Luglio 1979