Pubblicato in Torreomnia di Luigi Mari per gentile concessione dell'autore


ORIGINE E SIGNIFICATO DEL NOME TORRE DEL GRECO

Promemoria e alcune considerazioni sul nome di Torre del Greco

A cura di Silvestro Sannino

Silvestro Sannino, già dirigente Superiore del Ministero della Pubblica Istruzione ,si è occupato sempre di problemi di navigazione e di ambiente,sia sotto l’aspetto scientifico - didattico sia in situazioni operative e di ricerca ed è stato sensibile alle tematiche legate al territorio. Tra le sue pubblicazioni più recenti è la “Storia della Navigazione” in due volumi,opera inedita nel suo genere,anche il saggio su “Dante e la navigazione “ è un inedito,come pure “L’arte nautica di Cristoforo Colombo” e la memoria presentata a Genova nel giugno del 2014 dal titolo”La Nave e la Navigazione nello Sviluppo Scientifico e Tecnologico”.Esperienze ed indagini sul territorio sono state tradotte nel prezioso volume “Civiltà agricola vesuviana” del 2009

 

Breve Premessa di Angelo Di Ruocco

L’affascinante viaggio a ritroso nel tempo del Prof. Sannino alla ricerca dell’origine del significato del nome della nostra città, non poteva lasciarci indifferenti e non coinvolgere il nostro periodico che ha,tra i motivi fondanti,la nostra storia ed il nostro patrimonio culturale. Il Prof. Sannino, oltre ad essere un uomo dai tanti interessi culturali,un attento e scrupoloso ricercatore ,coltiva anche con grande dedizione e con risultati lusinghieri,la passione per la nostra campagna,per i suoi prodotti ed in particolare per i vigneti che da secoli affondano le loro origini nel fertile terreno vulcanico e ci donano trattati con mani esperte ed antica sapienza, un meraviglioso vino.  Credo che l’unione di questi due interessi, cultura e coltura,sia alla base di questa preziosa ricerca, che ripercorre in parte anche la millenaria storia del vino,uno degli argomenti più presenti e più importanti come dice Sannino,nella vicenda umana,e sapere che un vitigno e il nettare prodotto da esso sia stato all’origine del toponimo Torre del Greco,oltre ad arricchire il nostro sapere,ci dona un pizzico di orgoglio.

La vexata quaestio  

L'origine ed il significato del nome di Torre del Greco sono avvolti da incertezze e confusione malgrado le lunghe ricerche ed il sofferto impegno di un gran numero di studiosi di “storia locale" per cercare di risolvere la questione. Salvatore Loffredo, uno dei più recenti autori di storia torrese, titola il suo libro Turris Octavae alias del Greco, riprendendo la dicitura della bolla di Leone X del 1517; dopo aver fatto notare che nel titolo è contenuta  l' antica e la moderna denominazione della città aggiunge: “ll lettore vorrebbe sapere il significato della denominazione. Ci scusiamo di non poterne soddisfare il desiderio perché nella consultazione dei documenti non ci è stata data la possibilità di risolvere l'enigma”.Realismo o pessimismo? O reminiscenze di storicismo positivistico alla Leopold von Ranke? Intanto si può osservare subito che dei due termini, Torre e Greco, il primo appartiene a molte altre località (56 secondo Vincenzo Jori) per cui esso non caratterizza il luogo in modo incisivo, rilevante; il secondo, che è il nome di una particolare uva e del relativo vino, assume un’incidenza prevalente, determinante e quindi un interesse più diretto anche per le ragioni intrinseche dell’origine e dei motivi dell’associazione del luogo ad un prodotto molto noto e molto diffuso come il vino. Purtroppo quelli che si sono occupati del nome di Torre del Greco non hanno approfondito la genesi ed il significato della seconda parte della denominazione, hanno esplorato poco o per niente la pista dell’u-

va e del vino che invece non andava trascurata, anzi andrebbe seguita con attenzione perché essa può fornire elementi storici molto utili per recuperare qualche sprazzo di luce più viva, più nitida. Poiché ho avuto modo di esaminare alcuni aspetti della Civiltà Agri-

cola Vesuviana, ed in particolare dell'uva Greco, ho potuto cogliere, come occasionale corollario dello studio, talune indicazioni che forse possono aiutare a far inquadrare meglio il tema di cui parliamo.

 

La Turris Octaba o Octave

A tal fine, anche per comodità del lettore, si rende opportuno richiamare, in maniera schematica, alcuni punti nodali della vicenda toponomastica. Si sa che la città vesuviana in origine si chiamava ‘Turris Octavae (o Octaba) e poi, a partire dalla fine del duecento inizi del trecento, cominciò ad assumere, presso il popolo, l’appellativo del Greco che

con il tempo si impose e portò all’attuale denominazione di Torre del Greco. Sull’origine e sul significato di Turris Octaba o Octavae si è discusso molto senza tuttavia poter pervenire a conclusioni chiare, univoche, pienamente convincenti. La versione con le argomentazioni meglio articolate e più verosimili appare essere quella elaborata, da ultimo,da Raffaele Raimondo in Uomini e Fatti dell’Antica Torre. Raimondo, seguendo il Padre Barnabita Francesco Tranquillino Moltedo ed altri, ritiene che si tratti di una torre o lapide posta all’ottavo miglio romano a partire da Napoli (Porta Nolana) sulla strada per Salerno

e fornisce una precisa e chiara ricostruzione grafica-metrologica del tratto di via interessato. A tal proposito il Raimondo per rafforzare la sua tesi che il nome derivi solo dalla distanza da Napoli fa riferimento ad un’altra località denominata pure Torre Ottava esistente nella zona di Brindisi e posta in luogo ove vi era un miliario che segnava otto miglia. Peraltro il Moltedo, che da buon Barnabita di certo era ben informato sui fatti storici che tratta, nella sua dotta ed articolata dissertazione sulle origini di Torre del Greco, omette di citare una preziosa,decisiva indicazione dell’erudito cronista forlivese Flavio Biondo che nella sua Italia illustrata, stampata nel 1453, a proposito della nostra

città si esprime così: “dico che la torre d’Ottaui è cosa noua, e chiamata così per stare otto miglia lontana da Napoli.” Si noti che torre è indicata con lettera minuscola ed il significato del nome è esplicitato in modo chiaro, senza ambiguità. E risulta singolare che sia il Moltedo sia gli altri storici che si sono occupati dell'argomento non abbiano riportato l'importante indicazione di Flavio Biondo, persona molto attendibile per la sua preparazione culturale e per il rigore filologico del suo lavoro. L’appellativo Greco sembra non lasci spazi di ambiguità in quanto tutti gli autori specifici ritengono che esso derivi dal nome di un’uva o vitigno e dal corrispondente vino detto Greco. Ma qui esistono due punti di vista: vi sono quelli che interpretano il nome della città in quanto gran produttrice del famoso vino Greco e quelli che ritengono che vi sia stato un romito o eremita al tempo della regina Giovanna I (dopo il 1343) venuto dalla Grecia con dei tralci di viti che avrebbe piantato con successo sulle falde del Vesuvio, ottenendo un vino eccezionale e facendo guadagnare così l’appellativo Greco al luogo.
 

La favola del romito ovvero la storia fatta per supponenza

La storiella o favola o leggenda del romito non sta né in cielo né in terra, come hanno bene evidenziato pensosì e stimati autori di cose nostrane; e tuttavia essa ha continuato a trovare credito presso una minoranza, talvolta anche di buon intelletto, ma senza concreti elementi e con povere o traballanti argomentazioni a sostegno della singolare tesi.

E’ noto che fu il torrese Francesco Balzano nel suo libro L'antica Ercolano, overo la Torre del Greco, tolta all’obbIio (1688) a riferire, riprendendo vaghe e incerte dicerie precedenti, che la nostra città con il tempo perdeva l’antico nome di Ercolano e prendeva quello di Torre del Greco, all’epoca della regina Giovanna I coronata nell’anno 1342; secondo il Balzano un romito venuto dalla Grecia portò delle viti e si stabilì in un romitario sul luogo ove coltivò l’uva (greca) che piacque tanto alla regina la quale concesse al romito onori e privilegi etc. etc… Tra i seguaci di Balzano, per fortuna non molti, vi furono Vincenzo

Di Donna e Raffaele Torrese. A proposito di quest’ultimo autore si deve notare che mentre afferma: “è pacifico... che nelle nostre campagne ai tempi di Giovanna l si installò un eremita greco...” aggiunge, subito dopo “E’ documentato, altresì, che Re Federico ll, ..., scrisse da Foggia il 28 maggio 1242 ad un suo ufficiale di mandargli il vino greco”. E qui la coerenza temporale soffre esattamente di un secolo! Se Federico ll chiede il vino greco nel 1242 come fa il romito a inventarlo dopo il 1343? E per metterla su un piano più leggero, con un pizzico di ironia, è forse il caso di parafrasare l’antica canzone napoletana ‘A Ricetta ‘e Napule”: ...nu poco ‘e greco vì che te combina… La maggior parte degli autori successivi respinse le “fantasie” del Balzano, il quale sembra più impegnato in una esercitazione di “pseudodotta erudizione” sui testi antichi piuttosto che cercare di affrontare problemi reali e proporre convincenti interpretazioni e soluzioni, per varie ragioni tra cui:

a) All'epoca della regina Giovanna 1 l’uva Greca, e quindi il vino Greco, esisteva con tale nome da oltre un secolo, non solo sul Vesuvio ma anche in altre parti d'Italia, come vedremo in seguito;

b) La regina Giovanna I non poteva riconoscere ad un eremita onori e privilegi per fatti inesistenti; .,

c) Nessun elemento concreto è stato prodotto, né di fatto né di argomentazione solida, sull’ipotetico romito venuto dalla Grecia e  sui luoghi ove coltivava i suoi vitigni.

d) Lo stesso diploma del duca Carlo di Calabria, riportato qui di i seguito, è del 1324, data anteriore a quella dell'insediamento , della regina Giovanna I;

e) Etc. etc.

La gran parte degli autori che ebbero occasione di riferirsi a Torre del Greco espressero tutti il concetto che Torre del Greco si chiamasse così per il vino Greco che vi abbondava, a partire da Leandro Alberti (1551) a i Luigi Contarini (1569) a Giuliani (1632) a Capaccio (1634) al Celano (1692) al Chiarito (1772), ad Aluino (1845) a Moltedo (1870) e a tanti altri. E tuttavia le opinioni espresse da tutti questi bravi signori, formulate , in tempi ormai lontani dai fatti, erano spesso incoerenti, quasi sempre dogmatiche, apodittiche, mai argomentate con ragionamenti di tipo storico-filologico o suffragate da reperti storici o da altri elementi di qualche ragionevole consistenza.                                                               

Da Turris Octave a Torre del Vin Greco

L'unico fatto che emerge con sufficiente evidenza è che il nome Greco derivi dall’uva Greca e quindi la storia della seconda parte del nome  di Torre del Greco è ad essa legata, procede in parallelo con quella del detto vitigno ed anzi, per molta parte, deve coincidere con essa. I documenti ufficiali più significativi relativi al nome della città che sono stati trovati e messi a disposizione dagli studiosi di storia e del pubblico interessato, risalgono a date posteriori al mille della nostra era. Essi riportano le seguenti denominazioni del luogo:

1) Anno 1018 Turre de hoctaba

2) Anno 1129 Turris de Octavo

3) Anno 1267 Torre de Octava

Molte discussioni, appassionate e spesso infarcite di vigorose e aspre polemiche, sono state fatte sul significato del nome della città contenuto nei singoli documenti, di cui si è già richiamata la tesi più verosimile di Moltedo-Raimondo, che risulta in perfetta assonanza con la preziosa e decisiva testimonianza di Flavio Biondo sopra ricordata; ma in nessuno di essi compare il termine Greco. Il primo documento in cui appare tale termine è il diploma del duca Carlo di Calabria, figlio e vicario del re Roberto d î4ngiò, del 1324 in cui

viene riportata la dicitura in latino “Villa Turris Octave de pertinentiis Neapolis quod alit Grecu et Toboranu vulgariter dicitur noncupari” (Villa di Torre Ottavè di pertinenza di Napoli altrimenti nominata volgarmente Grecu e Toboranu). E’ ragionevole pensare che i due nomi volgari di Grecu e Toborano dovevano esistere già da tempo nei riferimenti e negli usi del popolo, dell’ambiente della mercatura; poi in seguito scompare il Toborano e

rimane solo il termine Greco a connotare la città del litorale vesuviano, come appare nella citata bolla di Leone X del 1517. ll termine Toborano ricorre, in forma più o meno corrotta, in atti notarili successivi ove sta ad indicare la zona dell’attuale Montedoro. Anche una frazione di Palma Campania porta il nome di Toborano; Taurano è il nome di un comune di Avellino e Taurania era una città campana citata da Plinio.

Perché Greco?

Dalla fine del Xlll secolo il commercio di vini dal sud verso le città del nord Italia cominciava ad essere sempre più sostenuto e consistente; ma dovevano essere vini di qualità, capaci di resistere e non alterarsi per le sollecitazioni dovute ai moti irregolari e tormentosi delle navi e per giustificare l'incidenza del notevole costo del trasporto. ll vino Greco possedeva queste caratteristiche per essere un vino gradevole, robusto, poderoso, serbevole, di elevata gradazione alcolica e buona acidità fissa. Inoltre esso era apprezzato dai buongustai sempre alla ricerca dei prodotti migliori. Tra gli estimatori del vino Greco vi era Federico Il che non voleva mai rinunciare ad esso. Infatti mentre era impegnato in battute di caccia al falcone in Castel del Monte (Puglia) ordinava ai suoi ufficiali a Napoli di inviargli vino Greco, Grecisco e Fiano, come attesta un noto documento del 28 marzo 1240. La fama e la diffusione del vino Greco agli inizi del Trecento viene testimoniata in modo autorevole dal celebre agronomo Pietro de’ Crescenzi, professore all’università di Bologna, il quale nel suo trattato del 1305 Liber Ruralium Commodorum, al libro quarto intitolato Della Diversità delle Viti, cita, tra gli altri vitigni, il Greco ed il Vernaccia e dice

che essi si coltivano in molti luoghi, danno vino buono però rendono con una produttività scarsa, limitata. Ma si sa quella di produrre poco vino è la caratteristica dei vitigni di elevata qualità, di eccellenza. Due prestigiosi autori di diritto canonico del Duecento, Goffredo di Trani ed Enrico di Susa, il vescovo Ostiense citato da Dante nel Xll Canto del Paradiso, parlano di Amineum Greco. L’accostamento dei due termini, fatto da persone di grande erudizione, sta forse a significare che il termine Greco, usato dal volgo, andava a sostituire quello latino Amineum e quindi il Greco altro non era se non l’antica firmissima aminea di cui parla Virgilio nelle Il Libro delle Georgiche ed ancora lo ribadiscono tutti

gli scrittori rustici latini, da Columella a Plinio, a Palladio. La tesi che il Greco fosse l’ antica Aminea dei romani è sostenuta da molti autori, a cominciare dal naturalista napoletano G.B. Della Porta  che in tal senso si esprime nel De Vinea,il VII Libro della sua monumentale opera Suae Pommarium (1584), in cui distingue l'uva Greca e la Grecula;e precisa che il Vesuvio vuol riparare ai danni che arreca con il dono di queste uve di pregio. Della stessa opinione furono G. Macrino alla fine del ‘600, il brillante agronomo-ampelografo Michele Carlucci alla fine dell’800, l’agronomo enologo Luigi Ferrante agli inizi del ‘900, che propone in merito argomenti tecnici ben fondati e molto validi. L’ estensore di questa nota ha potuto verificare, con esperimenti ripetuti e diversificati, che le caratteristiche ampelografiche ed organolettiche del Greco autoctono del Vesuvio sono molto simili a quelle delle aminee gemelle minori descritte da Columella. Altro che romito che porta tralci di viti greche! L’uva Greco esisteva nella zona già da lungo tempo e Torre del Greco prende il nome da un vitigno locale di antichissima nobiltà, uno trai migliori in senso assoluto della geografia vitivinicola di ogni tempo e di ogni luogo e può vantare, tra tutti i vitigni, la storia più limpida e lineare, ricca di apprezzamenti e di unanimi riconoscimenti.

La testimonianza di Francesco Petrarca sul vino Greco

Ma vi sono altri elementi importanti che meritano di essere evidenziati per avere una panoramica più completa e quindi una convinzione più profonda e più attendibile sulla materia in questione. In primo luogo vi è da considerare la fondamentale e illuminante testimonianza di Francesco Petrarca. il grande poeta del primo umanesimo, nonché eccelso filologo e bibliografo, ricorda il vino greco nel De Vita Solitario quando descrive il famoso lauto e sontuoso pranzo. ll riferimento è fatto in stile simbolico ed erudito: egli fa mescere in un’unica coppa il meglio dei vini greci e latini, attuali e antichi. Cita tra gli altri il vino Vesuvio che per lui, che conosce bene la realtà di Napoli, significa essenzialmente vino Greco. Ed infatti il Petrarca, nell’Itinerarium ad Sepulchrum Domini, una suggestiva guida di viaggio, da Genova a Gerusalemme, redatta per l’amico Giovanni Mandelli, un importante uomo d’armi che si doveva recare in Terrasanta, nel descrivere il luogo nostrano così si esprime, dopo aver precisato che il Vesuvio è detto volgarmente Somma (monte):

                                     

della terrificante, catastrofica eruzione, evidenzia la bontà delle viti aminee, che anzi pone al primo posto per il generoso vino che danno, vino che migliora sempre più con l’invecchiamento. L’eruzione del 79 d.C. distrusse, con immane potenza, la gran parte delle campagne vesuviane, come ricorda in termini di coinvolgente emozione, di fluida ed elegante espressione e di penetrante drammaticità il poeta Marco Valerio Marziale nell’Epigramma XLIV del Libro IV (Nec superi vellent hoc licuisse sibi. .. neanche gli dei avrebbero voluto che fosse loro concesso esercitare tanta potenza !); e tuttavia man mano forme di vita ripresero sulle terre già prima arse dalla furia del Vulcano, come fa pensare, senza alcun dubbio, quel passo del Libro III delle Silvae (specialmente ai versi 72-74 e 104) del poeta Publio Papinio Stazio, che scrive nel 95 d.C. ed è rivolto alla moglie Claudia, che viveva a Roma,per convincerla a rientrare a Napoli; sentimento confortato dall’ampia fiducia e dalla profetica visione del poeta in una piena ripresa delle attività espressa ai versi 78-84 del IV Libro delle medesime Silvae.La “visione poetica” di Papinio Stazìo trova peraltro concreto riscontro storico in Svetonio che riferisce, ne La Vita dei Cesari, degli aiuti solleciti concessi dall’imperatore Tito in favore delle zone colpite dall’eruzione e dell’opera di ricostruzione delle città danneggiate dal Vesuvio.Le coltivazioni riprendono per soddisfare una domanda di consumo

e secondo le leggi del mercato; inoltre nel lll secolo, i maggiori giuristi dell’età Classica, vale a dire Ulpìano (Digesto, XIX.2.II.3) e Paolo Giulio,per dare forma concreta ad un contratto di trasporto tipico prendono ad esempio i vini campani che includono in prevalenza quelli vesuviani. L’ultimo scrittore rustico dell’antichità, Rutilio T.E. Palladio, prestigioso agronomo del IV secolo dice, al Capitolo 9 del Libro terzo della sua Opus Agriculturae, che il suolo fa cambiare le caratteristiche dei vitigni e che solo le aminee, ovunque coltivate, danno sempre vinum pulcherrimum cioè vino bellissimo, eccellente. Più tardi, nel Vl secolo,Macrobio e poi Aurelio Cassiodoro, nel Libro Xll delle Variae, si riferiscono ancora ai vini aminei ed a certi aspetti della loro lavorazione,come il vino aciniato che contiene i prodromi del Lachrima Christi.Le viti aminee nel loro ambiente più adatto, naturale, quali sono i terreni sciolti e le caratteristiche pedoclimatiche della zona vesuviana, si sviluppano bene e forniscono un prodotto sempre apprezzato malgrado che, con la fine dell’Impero Romano, i consumi ed i traffici si riducano molto e la coltivazione della vite sia affidata alle attività laboriose e lodevoli dei monaci che, per fortuna, tendono a salvaguardare e conservare le cose migliori. E qui, purtroppo, le fonti storiche sono avare di notizie al riguardo. Ma già dal VII secolo Amalfi ed altre città cominciano a trafficare in prodotti agricoli tra cui il vino; dopo l’anno mille i traffici si scuotono, si riprendono e l’antico amineo comincia ad essere associato al nome Greco come già riferito sopra. I giudizi di Petrarca e di Villani sul vino Greco sono un chiaro, eloquente indice del prestigio che tale vino godeva sul declinare del Trecento. I traffici dei vini dal sud verso le opulenti città del nord (Roma,Pisa, Firenze, Genova) sono sempre più floridi. Napoli nel XV secolo diventa il primo porto del Mediterraneo per traffico di vini, come hanno ben evidenziato i maggiori e più attenti storici di economia medievale. I vini Grechi del sud provenienti dalla Campania, ma finanche da Tropea, sono sempre più ricercati ed anche Torre del Greco, con Castellammare di Stabia, diventa un porto di esportazione del famoso e prelibato vino, alimentando un’attività sul mare che in seguito connoterà in maniera sempre più incisiva la vocazione alternativa della città vesuviana. La diffusione del Greco verso l’età moderna Il commercio dei vini dal sud verso il nord si consolida nei secoli XIV, XV, e XVI. In questa epoca si parla in generale di vini Grechi e divini Latini. Con i primi si intendono, anche se le interpretazioni prevalenti richiedono ancora degli affinamenti, i vini bianchi di elevata qualità mentre per vini latini si indicano quelli rossi o di minor qualità. Il commercio ed i traffici dei vini in questo periodo sono stati oggetto di studi da parte di storici di economia medioevale come Mario del Treppo e Federigo Melis, il quale ultimo, lavorando sugli Archivi di Stato Fiorentini e sugli Archivi Datini della stessa città, ha potuto dimostrare come Napoli fosse il maggior centro di smistamento del vino e fosse ben collegata con tutte le

 

                       

grandi piazze, non solo italiane. Molti illustri produttori di Greco figurano nell’area vesuviana dopo il ‘500. Tra questi si deve segnalare Annibal Caro, autore di una tra le più famose e più eleganti traduzioni dell’Eneide, il quale gestiva un fondo della badia di San Nicolò di Somma ma il suo fittavolo gliene combinava di ogni colore. In Torre del Greco non mancano imprenditori che spediscono vini Grechi e Latini nelle città del nord, come Francesco Paolo Palomba ed altri. Intanto il vino Greco viene sempre più citato sia nelle opere letterarie (Del Tufo, Chiabrera, Basile ed altri) sia in trattati specifici; tra i letterati più illustri vi è anche Miguel de Cervantes che lo cita in una sua Novela (El Licenciado Vidriera) del 1613. Agli inizi del ‘500 Teofilo Folengo descrive nel suo poema epico - satirico Baldus, in un fluido e sfizioso latino maccheronico, un sontuoso pranzo ove ci tiene a mettere in guardia che il vino Greco “fa andare le brigate per traverso”.Sante Lancerio, bottigliere del raffinato Papa Paolo Il! Farnese, nel 1549 nella famosa Lettera della Qualità dei Vini indirizzata al Cardinale Guido Ascanio Sforza di Santa Fiore, esprime un giudizio negativo,molto severo, sul Greco di Torre ed aggiunge che S.S. preferiva quello di Somma, specie se invecchiato dai sei agli otto anni, con il quale il Papa usava bagnarsi gli occhi e le parti virili. Il giudizio del Lancerio si riverbera in parte nella grande opera del medico Andrea Bacci, il De Naturali Vinorum Historia del 1596; e tuttavia tale giudizio deve ritenersi affrettato e fuorviante se è vero, come è vero, che al mercato della Ripa Tiberina di Roma, al pari di altre piazze, il Greco di Torre e quello di Somma avevano una quotazione equivalente. ll motivo per cui Paolo IlI non gradiva il Greco di Torre non va ricercato tanto nella giustificazione “acrobatica” del Lancerio quanto piuttosto nel fatto che il papa era molto avanti negli anni ed egli già trovava il Greco di Somma “fumoso e possente”, figuriamoci quello di Torre che era, ed è, molto più generoso per l’esposizione meridionale dei terreni di produzione. Peraltro a quel tempo la vendemmia si faceva quando l’uva era pienamente matura, seguendo l’antico precetto Virgiliano del postremo metito (sii l’ultimo a vendemmiare), ed il Greco maturo a Torre rende oltre 14° alcolici. Del De Vinea di G.B. Della Porta si è già accennato a proposito della derivazione del vitigno Greco dalle Aminee dei latini; va osservato che ivi il naturalista napoletano parla anche del Vinum quod fundunt, Vesuvio Lachrymam dìcunt, secundum post Graecum notae (il vino che ricavano e che al Vesuvio chiamano Lachryma, secondo solo al Greco).ll Lachryma Christi, vino ottenuto con particolare metodo di vinificazione, era stato illustrato dal predetto Lancerio ed il Bacci riporta nella sua Historia la prima ed una delle leggende più belle e più note su di esso; in ogni caso il vitigno Greco è stato sempre un componente prevalente nella preparazione del Lacrima.

ll Greco nei tempi più vicini a noi

Citazioni ed elogi del vin Greco sono contenute in quasi tutti i poeti e gli scrittori dei secoli successivi. Dell’uva Greco e del vin Greco parla con molta competenza e proprietà tecnica nel 1672 il nostro già citato Ignazio Sorrentino, il quale indica le condizioni tecniche e ambientali nonché i metodi operativi da adottare per fare un vino di qualità eccelsa. Nel suo lavoro il Sorrentino si riferisce anche ad un’uva Greca nera che viene Chiamata Glianeca verace ed apre in tal modo una finestra interessante sullo scenario vitivinicolo vesuviano che merita di essere vagliata ed esplorata con attenzione dagli storici di enologia. Nel XVII e XVIII secolo i viaggiatori europei inseriscono nel Gran Tour l’escursione al Vesuvio che intanto dal 1631 si è risvegliato fragorosamente, come ben avverte il poeta dialettale G.B. Bergazzano, facendo migliaia di vittime tra i torresi, ed è in normale attività. Molti visitatori illustri,(tra cui il grande filosofo Leibnitz, l’immenso W. Goethe che fece ben tre escursioni, M.me De Stael, C. Dìckens, A. [al e cosi via) nei loro resoconti del viaggio citano il Lachryma Christi che le guide hanno loro venduto durante scalata al vulcano, fatta a cavallo e/o ad asino attraverso i verdi e floridi vigneti che decantano con accenti pittoreschi e senza alcun risparmio di elogi; il detto vino diventa molto famoso in Europa e nel gergo tecnico-enologico spesso i termini Greco e Lachryma diventano sinonimi. Intanto nei trattati di agronomia il vitigno Greco del Vesuvio o di Napoli,così detto per distinguerlo dal Greco di Calabria e da altri “Greci”, viene anche detto Greco della Torre (da Torre del Greco a Greco della Torre).A metà ottocento appaiono le malattie della vite: fillossera, oidio e peronospera. Alcuni vitigni soffrono di più e tendono a scomparire. Il Greco è presente sul territorio fino alla fine dell’ottocento e viene trapiantato e diffuso con molto successo anche a Tufo (Avellino). Intanto i produttori dell’area vesuviana riscuotono notevoli successi in campo internazionale.

Produttori e pregio del vino Greco

Produttori di Torre del Greco, quali le famiglie Torrese, D’Ambrosio ed altri propongono ancora vini di alta qualità conquistando riconoscimenti e premi in esposizioni internazionali a Parigi, a Bruxelles, a Vienna e altrove. Nel 1875 al Caffè del Cambio a Torino, in piazza Carignano 2, la bottiglia di vino di Torre del Greco veniva servita a tavola a otto lire a fronte del costo di solo tre lire di un Barolo stravecchio! Ed ancor meno per il marsala, il gattinara, il brachetto, il barbera mentre il secondo costava appena una lira. Poi dagli inizi del XX secolo il Greco scompare misteriosamente da tutta la plaga vesuviana e solo di recente, grazie alla garbata insistenza dell’Avv. Salvatore Accardo, Direttore del periodico La Torre, ed al contributo di affettuosi amici esso è stato ritrovato ed allevato e riproposto da chi scrive; ma vi è tuttavia il rischio che esso scompaia di nuovo e forse definitivamente per l'indifferenza totale non solo della communis opinio ma anche degli “addetti ai lavori” e delle persone che si professano di “cultura”.Del suo ritrovamento fu data notizia sul periodico locale La Torre e fu tenuto anche un convegno all’albergo Santa Teresa nel 1994 al quale furono presenti, in religiosa attenzione, il Dr. Francesco Coscia ed il Cav. Basilio Liverino. L’attività di Torre del Greco nei secoli più lontani era incentrata in modo particolare sull’agricoltura ed in specie sulla vitivinicoltura, tranne un nucleo più vicino al litorale dedito alla pesca, come accade in tutte le comunità rivierasche. Le condizioni degli agricoltori, in generale, erano misere, precarie ma il tenore dell’architettura rurale testimonia che in alcuni casi di masserie i produttori si collocavano ad un livello medio alto della società dell’epoca. Poi i torresi si dedicarono sempre più alla pesca del corallo e quindi alla lavorazione ed al commercio dello stesso prodotto, comprese le relative attività indotte. Si venne a formare una nuova identità culturale, una nuova mentalità, una nuova coscienza civica del torrese, molto distanti e molto diverse da quello status georgico, agricolo; e poi, all’interno di questa nuova identità, con il tempo il torrese ancora assumeva altre connotazioni come quella del marittimo, dell’armatore, mentre nel settore agricolo la preferenza si spostava verso la coltura delle primizie in serre e la floricoltura. Siamo in presenza di metamorfosi sociali, culturali, antropologiche, che richiederebbero sensibilità e fantasia degne di un Ovidio per essere descritte, illustrate e interpretate. Vi è stata qualche circostanza in cui il nome di Torre del Greco è stato sul punto di essere cambiato, come era già avvenuto nel medioevo e come è successo per altre città. Sarebbe interessante sapere se nella coscienza del torrese autentico, del torrese verace (ma chi è il torrese verace?) vi sia qualche spinta per il cambiamento del nome o se invece si preferisca che esso resti, dopo tanti secoli, tutto sommato, di onorata e meritevole rappresentanza. ln ogni caso dal sintetico panorama proposto emerge netta la lunga e limpida storia del Greco, l’uva ed il vino di maggior prestigio dello scenario enologico di tutti i tempi, e la sua stretta correlazione col nome della città; ed anche se la potenziale consistenza della produzione locale è oggi sempre più limitata, esso costituisce tuttavia una risorsa preziosa che andrebbe valorizzata con un’adeguata, profonda opera di promozione sul piano culturale e su quello commerciale, per tutta l’area vesuviana, in sinergia con gli altri notevoli monumenti storici a partire dagli scavi di Pompei a quelli di Ercolano, di Oplonti, di LongoIa etc. etc. I vantaggi sarebbero senz’altro appetibili e di rilievo anche sul piano dell’immagine e, con i tempi che corrono, non sembra proprio sia poco!             


Per concludere

Penso che gli elementi prodotti o evidenziati siano serviti a eliminare un po’ di penombra

insistente sul nome di Torre del Greco; essi possono essere ancora approfonditi con ulteriori ricerche negli archivi, come ha fatto di recente Carmine Cimmino per la zona di Ottaviano, specie se l’approccio storiografico sia improntato a visioni più aperte e di più ampio respiro rispetto al passato. Finora l’impegno degli storici locali, che tra l’altro ha richiesto energie non indifferenti, forse si è concentrato troppo a indagare nelle pieghe delle vicende di alcuni personaggi più in vista senza soffermarsi abbastanza sulle vocazioni territoriali, sulle attività produttive, che sono il patrimonio di tutti e che poi determinano l’economia e lo status civile e sociale di un paese, di una comunità.                                                Silvestro Sannino

 

Indice

La vexata quaestio

La Turris Octaba o Octave

La favola del romito ovvero la storia fatta per supponenza

Da Turris Octave a Torre del Vin Greco ll

Perché Greco?

La testimonianza di Francesco Petrarca sul vino Greco

ll Greco erede del firmissimo vino amineo di Virgilio

La diffusione del Greco verso l’età moderna

Il Greco nei tempi più vicini a noi

l Produttori e pregio del vino Greco

Per concludere